La mia storia in un'intervista

Federico hai voglia di parlarmi di te?
Sei giovanissimo ma ogni volta che ti sento parlare di cani la netta sensazione che ho è che tu sia in questo ambiente da sempre. Com’è iniziato tutto?

La passione per gli animali è parte di me, è nel mio dna.
Ero ancora piccolo quando portavo a casa ogni tipo di cane, gatto, volatile, roditore e mia madre si disperava; ma è stata lei la mia prima maestra, la prima ad avermi trasmesso il rispetto per loro, la prima ad avermi insegnato a prendermene cura.
La vita, poi, mi ha portato altri “maestri”, altre persone che con i loro insegnamenti mi hanno sempre più avvicinato all’ambiente della cinofilia; e così, affascinato da questo strano mondo, ho cominciato.

Avevo quattro o cinque anni quando mio padre se ne andò di casa; quell’estate facemmo, con mia madre e mia sorella, una vacanza in campagna, nella vecchia casa di famiglia. Mamma, per rallegrare i nostri cuori, aveva preso per noi un Lhasa Apso, il suo nome era Gengis Khan. Lui è stato il primo, il primo cane ad essere veramente mio.
Arrivava dall’allevamento di Cerretelle: allevamento nato coi Cocker Spaniel Inglesi, e poi si sono susseguiti Yorkshire terrier, Maltesi e Lhasa Apso. Il proprietario, Giovanni, era amico e collega di lavoro di mamma; devo a lui tanto, forse più di quanto all’epoca avrei mai immaginato.
Era un uomo grande, imponente, sicuro di sé e del suo fare – almeno io lo sentivo così. Lo osservavo mentre si aggirava in allevamento, mentre si prendeva cura di ognuno dei suoi cani. Giorno dopo giorno, osservando, imparavo; imparavo come si pulisce un orecchio, come si cura un piede come si lavano le differenti razze e poi, poco per volta, lui lasciò che io provassi.
Gengis Khan stette con noi quell’estate e poi tornò in allevamento ma per fortuna io e mia sorella, in allevamento continuavamo a bazzicare.
All’epoca ero pigro, lo sport non faceva per me, l’unica attività pseudo sportiva erano le mie giornate da Scout cui rinunciavo volentieri per poter stare coi cani; Giovanni mi aveva soprannominato Biscuit.
Avevo nove o dieci anni e continuavo ad imparare; silenzioso assorbivo da lui, goccia dopo goccia, tutta l’esperienza di decenni di passione.
Incominciavo a sentir scorrere sottopelle la magia dell’iniziare a capire il loro pensare, il loro sentire. Di lì, il non poterne più fare a meno fu il passo più naturale. Intanto a casa era arrivata una Maltese, Thimble.

 

So che avevi un negozio di toelettatura per cani e che sono ancora molti i proprietari che ti chiedono di prenderti cura dei loro animali. Ma quando hai imparato a toelettare?

Si è vero, quando sono andato a convivere con Alessio, mi sono trasferito da Firenze a Livorno; mi sono riavvicinato a casa, come si suol dire, ed ho aperto un laboratorio di toelettatura: “La ritrosa”. Ma stiamo parlando del 2007 – 2008 proprio all’inizio della grande crisi. Il laboratorio non è durato tanto: poco meno di due anni; avevo molti cani a casa, la mia passione di handler e un lavoro che mi teneva tutto il giorno fuori di casa era divenuto più penalizzante che conveniente.
Ma le mie prime lezioni di toelettatura risalgono alla notte dei tempi (ride). Non avevo ancora quindici anni quando trascorrevo giornate intere a lavorare nei vari allevamenti ed è in quegli anni che ho imparato.
Tutti gli allevatori che frequentavo furono in qualche modo miei maestri tra loro sono felice di poter ringraziare Gianfranco Martelli (aveva a quel tempo un negozio di toelettatura a Livorno dove io vivevo) e Adriana Ardisson. Devo a loro la mia bravura nell’arte dello strippare; mi insegnarono tutto, tutto il loro sapere. Stavo lì per ore, in piedi accanto a loro, osservando quelle mani abili e veloci creare capolavori; fino a quando un giorno, presi coraggio e tentai. Chiesi ad Adriana se avesse potuto trovare il tempo di insegnarmi. “Vieni domani – mi disse – toeletto il cane di mio figlio. Io faccio un lato e tu fai l’altro”. Ce l’avevo fatta, mi aveva accettato come suo allievo.

E la tua carriera come handler professionista come inizia?

Beh, ricordo che quando non avevo ancora un cane mio andavo a prendere quelli dei vicini per portarli a passeggio; da che è arrivato Gengis Khan; lui, come ti ho già detto, è stato il primo, credo nel 1987;
poi Thimble la maltese… e da quel momento decine di cani si sono susseguiti nella mia vita.
Come ti dicevo fin da quando avevo cinque o sei anni non avevo potuto fare a meno di occuparmi di cani, in qualsiasi modo potessi farlo. Avevo voluto imparare tutto ciò che mi era stato possibile da tutti coloro che avevo avuto la fortuna di avere come maestri. Devo anche dire che i maestri più esigenti sono stati i cani stessi. Vivere con loro è stato ed è per me una lezione continua.

C’è da dire che la curiositĂ  di vedere qualche esposizione canina c’era, ammiravo i proprietari (magari erano handlers ma ancora non sapevo cosa significasse questo termine e neppure conoscevo l’esistenza di tale professione) mentre preparavano i loro magnifici soggetti.
E così ho provato anch’io…

A 12 anni, ne ricordo una tra tante, con la Lola (Bulldog inglese), arrivammo presto in expo e trovammo altri espositori con cui parlammo; mi spiegarono come dovevo fare.
Non posso dire che Lola fosse proprio convinta, ma mi assecondò e fummo premiati con un secondo posto. Mi diedero un cartoncino con su scritto RIS-CAC; non sapevo cosa fosse, ma ero contento visto il numero dei concorrenti.

Comunque, andiamo avanti.

A vent’anni arriva una richiesta di aiuto per gestire il lavoro estivo all’Accademia Cinofila Fiorentina e, ovviamente, accetto convinto che alcuni mesi all’accademia sarebbero stati molto preziosi per la mia preparazione.
Per tre anni ho vissuto in Accademia senza più andarmene e per tre anni ho fatto ed imparato a fare di tutto: lavoravo nell’asilo, nella pensione, mi occupavo di Pet Therapy.
La dirigente la dottoressa Carlini, aveva dei Bassethound ed il contagio fu immediato.

 

E quindi è così che nasce Carboncopy kennel?

La prima cucciolata di Basset fu tra Lilli dell’Angelo Azzurro e Dante, un cane con cui avevo un’intesa speciale : all’entrata del ring ci si guardava negli occhi ed al mio “Dante, andiamo” si entrava in scena. Non pochi i Basset venuti a rendere la mia vita colma di affetto; loro sono cani antistress per eccellenza e questa terapia non fa mai male.

 

Ma tra loro c’è un grande amore, un preferito?

La scelta dei cani per un accoppiamento viene sempre fatta da me tenendo conto di morfologia carattere, salute, alla ricerca di quello che è nel mio immaginario il cane perfetto. Nacque una cucciolata da Eva, figlia di Dante, e tra tutti i cuccioli una femmina attirò la mia attenzione: era bianca e arancio, aveva la punta della coda ed i calzini bianchi, la striscia bianca che segnava la zona centrale del muso. Il suo nome fu Ikea e con lei fu amore a prima vista tanto che avvicinandomi ad Eva le dissi “Grazie me la hai fatta; ora puoi pure smettere…”

Perché Carboncopy”?

Quando si fa una richiesta di affisso all’Enci si hanno tre possibilità di nome.
Il primo scelto era “New Wave” un nome di rinascita; ma fui stupido e non mi informai bene, così non mi accorsi che esisteva già un allevamento con lo stesso nome; quindi nome non utilizzabile
Il secondo era un nome orribile e non l’ho neanche più preso in considerazione.
Il terzo era Carboncopy – Carta Carbone; nella speranza di avere cani di ottima qualità, come i genitori, volendo cercare di ottenere una continuità di qualità in tutti i soggetti dell’allevamento.

Abbiamo parlato di Bassethound, ma Carboncopy è anche Setter Gordon…

Nell’estate 2003 ero a Milano per un’estate di vacanza/lavoro ed avevo lavorato coi Gordon di un amico, Alberto.
Greta, la sua cagna, aveva partorito con difficoltĂ  ed erano sopravvissute tre cucciole: Caipirigna, Caipiroska e Piagnacolada.
Tornato a Livorno, a settembre conosco Alessio e, ad Ottobre insieme decidiamo di andare a vedere come stanno le cucciole. Era rimasta solo una cucciola grossa, goffa, nera focata, che neanche ci dava considerazione, pensava solo a farsi i fatti suoi annusando qua e là. Così, su due piedi, si decise di portarla a casa.
Lei era Capirosca dei Riri , Witch” per noi di casa, e con lei è nata la nostra vita coi Gordon .
All’epoca vivevo a casa da mamma che, all’inizio, pensò fosse uno scherzo, quasi lo prese come un affronto, (da quando avevo 12 anni aveva detto la fatidica frase “ mai piĂą cani in casa”) non capì che aveva solo due mesi, non si immaginava le dimensioni adulte…

Forse inaspettatamente, Witch si rivelò un soggetto valido per la razza; basti pensare che a soli tre anni e mezzo ha lasciato i ring con un palmares ricco di vittorie in giro per l’Europa ed ha poi fatto la mamma di tredici dolcissimi cuccioli tre dei quali sono rimasti con noi e ci hanno dato grandi soddisfazioni. L’onore più grande è stato quando allevatori e dresseurs di questa razza ci hanno richiesto alcuni soggetti: il nostro allevare stava dando buoni risultati.

Qui con noi oggi non ci sono però solo Basset e Gordon,ma altri amici di razze diverse. Ognuno di loro ha una storia vero?

Ovviamente non potevo solo avere Basset e Gordon! (sorride ironico)

 

Ognuno di loro ha una storia vero? Me la racconti brevemente?

Va bene.

Vivevo a Firenze, conosco Flora, proprietaria di Chloe, una carlina presa in negozio come “pet”. Flora decide di farla coprire ed al momento del parto chiede a me di aiutare la cagna a partorire. Così feci; nacquero cinque cuccioli e l’attenzione era rivolta due femmine ed al momento di scegliere quale cucciola tenere le risposi “Tu scegline una, l’altra la porto a casa io”. Dafne entrò così in famiglia.
Per la Greyhound la storia si racconta in fretta: oramai 15 anni fa andammo in expo e dormimmo a casa di un’amica allevatrice. Al ritorno Carrie era con noi.
Nel mio incontrare cani, mi innamorai perdutamente di una dalmata di provenienza inglese (Elaridge Touch of Class), il classico colpo di fulmine. Andai così dalla sua allevatrice FIORELLA M. e le dissi che volevo una figlia della sua… ed è arrivata Olimpia.
Nel tempo arrivarono a casa anche i Golden. Io ed Alessio vivevamo insieme e anche lui aveva bisogno del “suo cane” e così Noha entrò a far parte della famiglia e con lei, nel tempo, anche due sue cucciole rimasero con noi.
L’ultimo arrivo dopo tanti e tanti amori, è una piccola Lhasa arrivata l’ottobre scorso. Anche lei ha una grande importanza per me.
Giovanni se ne è andato ormai per sempre e Patrizia, sua moglie, ha voluto che io e mia sorella Cecilia avessimo uno dei loro cani. E’ arrivata Happydale Faith, un anno compiuto a gennaio 2015.
Nel loro allevamento, ancora quattro generazioni di cani; lì ho ritrovato i figli dei cani incontrati quando, bambino, ignaro di cosa la vita avesse in serbo per me, avevo conosciuto Giovanni .

E poi c’è Appia.. La bracca. Arrivata in un momento particolare per me…

La sera in cui ti ho conosciuto mi hai commosso raccontandomi di te e di Mac, hai voglia di raccontarmi ancora di questo grande amore?

Ero all’expo di Portorose e presentavo dei levrieri di Nicole; lì conosco Cristina Leonardi.
Cristina era su con la allevatrice di Mac, il suo afgano ed aveva con sè due cani: Mac, che all’epoca aveva 6 mesi e Vasco, un Irish Wolfhound. Trascorriamo insieme i due giorni di esposizione.

Dopo alcuni mesi ci rivediamo a Maribor dove lei aveva problemi a presentare Mac cosicchè mi chiede se posso pensarci io.
Avevo visto il cane in mano ad un altro handler e non era certo un cane facile. Decisi di provarci, nonostante potesse sembrare una grande sfida.
Mac era un cane che pareva sapesse gestire autonomamente il ring in modo perfetto, ti guardava quasi come se intralciassi il suo incedere.
Mi avvicinai a lui mantenendo però spazi molto ben definiti, io non invasi il suo e mantenni definito il mio chiedendogli di provare a fidarsi di me, di venire con me e lavorare insieme. Avevo chiesto a Cristina di allontanarsi e non farsi vedere per tutto il tempo della gara.
Gli parlai per tutta la durata della gara e stavo ancora parlando con lui mentre uscivamo dal ring; non lo avevo mai toccatoVincemmo.Ricordo che giudicava Michael Forte, che lo ha poi rivisto otto anni dopo dandogli una ris Bis.
Non è facile entrare nella sfera di un cane che pensa; i cani spesso ti assecondano a prescindere, vanno per associazioni di idee, Mac no, come neanche Dante, Dafne, Ranya…….tu con loro ci parli, devi parlargli se vuoi che ti prendano in considerazione.

Federico, per favore, raccontami ancora la mia favola preferita, tu sai a cosa mi riferisco.

Sì, il Best in Show del Lussemburgo.
Cristina è sempre stata quella delle idee folli; “andiamo, andiamo, facciamo, ho scritto i cani qui, ho scritto i cani là…” e si mangiavano chilometri di strada a non finire.
Quella volta Cristina voleva andare a tutti i costi perché giudicava Raphael de Santiago, giudice molto importante e grande allevatore di Afgani.

All’epoca c’era anche Amerigo e così le dissi “se il giudice è così importante, a questa esposizione ci sarĂ  il mondo. Non pensare a fare chissĂ  quale risultato. Iscrivi Mac in campioni ed Amerigo in Giovani, magari non ci sono troppi cani, Amerigo è in ottime condizioni sia di sviluppo fisico per l’etĂ  che di pelo ed è un cane molto scenografico…. Cerchiamo di portar a casa un risultato soddisfacente ma senza illuderci…”
In Lussemburgo le classi entrano con ordine diverso: giovani, campioni, intermedia e libera, maschi e poi le femmine.
Entro con Amerigo che fa 2° in classe giovani.
C’è da dire che si era partiti prenotando l’albergo solo per la notte del venerdì non avendo speranze di fare risultati che ci tenessero lì anche per il giorno dopo. Pensavamo: “appena finito si riparte subito e si torna a casa in fretta”.

Entro con Mac in classe campioni; 20 maschi in un ring piccolo dove il giudice ci ha fatto muovere singolarmente un po’ come si poteva. Finiti i giudizi de Santiago mi prende e mi mette in un angolo, io, non capendo chiedo se avesse inteso che dovevo uscire e lui secco nega e mi fa aspettare.
Vinsi la classe ed il titolo era secco: Mac era campione di Lussemburgo!
Rientrato per il CACIB maschi vinsi ancora; rientrai ancora per il migliore di razza e Mac battè la miglior femmina che aveva vinto dalla classe intermedia.
Eravamo al settimo cielo mentre attendavamo il ring d’onore.
Ancora de Santiago a giudicare il gruppo 10 e Mac vince ancora.
Ero strafelice ma contemporaneamente, con il mio solito vizio di avere tutto sotto controllo, mentre metto Mac sul podio pensavo: “Mannaggia, non ho neppure una camicia per il Best in Show di domani”. Usciamo a cercare un albergo per la notte e, dopo cena andiamo a dormire ripromettendoci due cose:
la prima – Domani, come prima cosa andiamo a cercare una camicia;
la seconda – Stiamo tranquilli!

Eravamo talmente tranquilli che alle sei del mattino eravamo giĂ  in piedi ed alle 10, dopo essere andati fino in aeroporto a cercare una camicia senza peraltro averla trovata, eravamo giĂ  in expo.
La domenica trascorse lenta nell’attesa; durante tutto il giorno commissari, giudici, passandomi accanto, mi ripetevano la stessa frase “Do your best for the Best.”
Il Best era giudicato da Martinez, io entrai con una t-shirt bianca che spuntava da sotto la giacca; tutto ciò che ero riuscito a trovare per entrare sul ring d’onore.
Finite le presentazione dei 10 cani rientrammo tutti nel pre-ring ad attendere il giudizio. C’erano nomi importanti sia tra gli handler che tra i cani; arrivavano da tutta Europa, Francia, Spagna…
Tutti volti noti; ero certo che non ci fosse posto per noi sul quel podio.
Chiamano il cocker per il terzo posto, il secondo gradino andò al carlino, lo Scottish e l’Akita Americano erano pronti ad entrare, e Mac aveva chinato la testa lasciando che il ciuffo si scomponesse. Chinandomi per rimetterlo in ordine e, spazzolandolo, gli dico “Andiamo via Mac” e mi giro per allontanarmi quando sento la commissaria di ring urlare qualcosa verso di me, Jadranka – carissima amica, lì in qualitĂ  di fotografa – urla anche lei a gran voce “Federico don’t go !” mentre nello stesso istante sento dal Ring d’onore la voce del presentatore chiamare “Afgan-hound”
Siamo entrati in ring correndo, col viso segnato da lacrime di gioia indescrivibile.
Al momento delle foto Cristina si avvicinò con la macchina fotografica e venne affiancata da De Santiago che le chiese di poter avere il suo cane… inutile spiegare la risposta.
Partimmo per tornare a casa dopo aver caricato la coppa che era orrenda ed enorme, così grande che dovetti smontarla a pezzi per riuscire a metterla in macchina. In Francia, la polizia che ci aveva fermati per la mia guida un po’ troppo veloce (non vedevo l’ora di arrivare a casa) vide coppa e coccarde così, invece di multarci, chiese se stessimo trasportando cani e cosa avessimo vinto; “ Abbiamo vinto tutto, tutto” rispondemmo ridendo.